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Geometria bianca

Mostra Labiritmi 2008

GEOMETRIA BIANCA

La “Geometria bianca” è una geometria pura, essenziale che si rintraccia ad alto livello di rarefazione mentale o concettuale, con conseguenti visioni e stati “allucinatori” paragonabili a quelli che si riscontrano in situazioni ambientali e fisiche estreme: come, ad esempio, in montagna ad alta quota, in cui le condizioni atmosferiche creano nell’individuo, che vi si trova a persistere per un tempo prolungato, stati di alterazione psico-fisica con l’insorgere di allucinazioni, stati deliranti, ecc. Allucinazioni e deliri in questo caso di tipo astratto, geometrico, visivo… Accade ciò nel lavoro di Piergiorgio Cremasco che ci presenta Labiritmi, otto animazioni digitali a 3D, elaborate al personal computer e accompagnate da altrettanti brani musicali sempre da lui composti al computer per l’occasione, assumendosi così con coerenza operativa, anche il controllo della creazione multimediale dell’opera (vista in questo caso soprattutto come unione inscindibile d’immagine in movimento nel suo continuo farsi e divenire). Aspetti musicali che sono nati dopo, per accompagnare la visione dei corpi geometrico-virtuali e mettere lo spettatore in una condizione di apparente stabilizzazione della percezione visiva. Questi suoi componimenti musicali di sintesi presentano anche, comunque, alcune connotazioni d’iterazione dei suoni, che si avvicinano per logica al modo con cui ha elaborato le forme visive dominanti. Cremasco è una figura appartata della ricerca artistica, fuori dai circuiti edonistici della mercificazione, ma questo gli ha permesso un autentico e personale sviluppo. Egli ha approfondito, articolato, aggiornato il proprio fare creativo con molteplici interessi e pratiche disciplinari, legati non solo alle arti visive quali la pittura, la grafica e il disegno, uno degli elementi di riflessione e di ricerca, che assieme alla scultura, ha determinato maggiormente la visualizzazione dei precedenti studi; ma con altrettanto controllo ha praticato la fotografia, e oltre le ricerche visuali, la musica e la geometria. Ora con queste otto animazioni digitali si è dovuto cimentare in problemi di carattere cinematografico, perché è diventato contemporaneamente operatore di ripresa, tecnico delle luci, montatore, e, ovviamente, anche regista. Come un Leonardo contemporaneo egli ha studiato lungamente, isolato in notturne e interminabili meditazioni, ma poi con aspetto morale ed etico, che è indice di una coscienza elevata del fare artistico moderno, sente l’obbligo di consegnare, di render conto del proprio operato, facendo il punto non solo a se stesso, ma anche pubblicamente, di quanto esperito in tanto privato segreto. Ed ecco che con cadenza decennale, risalgono al 1987 e al 1997 le sue ultime esposizioni, Cremasco ci aggiorna sugli esiti delle sue recenti ricerche e risoluzioni. Ci aveva allora lasciato, elaborando con raffinata manualità, come nella grande tradizione artistica, un’articolata rassegna di innumerevoli disegni di studio e di correlate opere plastiche, nate dagli esiti topologici delle persistenti e mai placate in lui tensioni geometriche legate al nastro di Möbius, alla bottiglia di Klein, ecc. Oggi, rinnovandosi e proponendosi con l’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici e programmi digitali dell’informatica, Cremasco ci presenta un’elaborazione astratto-geometrica, che data la sua natura bianca sopraindicata, appare algida e fredda con un’articolata quanto animata compiutezza, e che tuttavia prova a riscaldarsi nel perpetuo movimento che inesorabilmente trasforma gli elementi spaziali. Mezzi tecnici e programmi che hanno permesso di produrre un’enorme quantità di soluzioni e variabili visive, inserite in moti assoluti e relativi che si compongono simultaneamente. Tanto che l’uomo contemporaneo e l’artista, di cui è il riflesso, oltre che creatore è diventato, in questo caso soprattutto, un campionatore che deve isolare e scegliere quale soluzione proporre tra le infinite variazioni elaborate. Quindi sono numerosissimi gli elementi a disposizione da controllare, coscientemente creare e riprodurre. Così è stato per Cremasco in questi ultimi dieci anni, immerso totalmente nello scolpire il digitale, come aveva fatto con maestria e metodo rigoroso con i modelli operativi iterati dalla grande tradizione artistica. Tutto è movimento nel micro e macrocosmo in cui siamo inseriti, lo spazio è strettamente legato al tempo e in questi termini avevano incominciato a rappresentarlo i cubisti e i futuristi, con i mezzi artistici e tecnici a loro disposizione nei primi decenni del secolo scorso. Inoltre, Paul Klee aveva esplorato, trapassato e teorizzato la dimensione della forma e della figurazione universale, tanto da sottotitolarla “Storia naturale infinita”; analogamente con svariate strutturazioni Cremasco interpreta la geometria, che non può più dirsi solo terrestre e fisica poiché si espande in altrettanti immensi, molteplici e relativi universi prettamente cerebrali. Mi piace pensare che queste otto opere dai virtuosi e variabili dinamismi, come Caleidoscopico, Conicocurvo, Cuborombico, Esagonale, Labirintico, Möbiusfluido, Nastromöbico, Quadrocubico, siano la risultanza del varcare il confine dove alto, basso, qui, là non esistono più e la pratica dell’artista è il luogo di una lotta tra conscio e inconscio, tra due estremi, tra positivo e negativo, tra pieno e vuoto, tra concavo e convesso, tra bianco e nero, tra verticale e orizzontale, tra spazi, forme e dinamiche rette e curve. Tali si prospettano le conseguenze per Cremasco, in cui i suoi asteroidi topologico-geometrico-astratti si generano dai più lontani e profondi spazi siderali della mente, arrivando a presentarsi in primo piano da estesi fondi neri o bianchi, evolvendosi da un punto, da una linea o da un piano che sono a loro volta in contrapposizione al fondo stesso e nel quale subiscono trasformazioni metamorfiche con continue accelerazioni e rallentamenti, espansioni e compressioni, scomposizioni e sovrapposizioni, sdoppiamenti e ulteriori moltiplicazioni, ecc. offrendo nuove visioni. Forme e spazi che stanno davanti a noi o ci oltrepassano, spariscono dal nostro campo percettivo per rientrarvi ovviamente modificati e in continua, perenne instabilità. Siamo storditi da tanta inevitabile mobilità e provvisorietà. Ad esempio, in Labirintico, una linea nera orizzontale su fondo bianco si presenta come elemento spaziale e subito dopo si espande elasticamente a formare un quadrato composto da altrettante linee verticali e orizzontali; inaspettate evoluzioni bidimensionali ne alterano la costruzione e la percezione, infine, dopo aver assunto le sembianze di un intricato labirinto, ritorna collassando una linea e, come all’inizio, automaticamente svanisce. Apparizioni queste di andata e ritorno dalle remote regioni della mente, dove la geometria bianca regna sovrana e dove eternamente continuano e continueranno a formarsi come allucinazioni temporanee o persistenti… Tutto questo dipende dal nostro grado di resistenza ad alta quota.  

 Luglio 2008

 firma danilo

La sacra sindrome dell'occhio

Mostra Labiritmi 2008

La sacra sindrome dell'occhio

Caro Piergiorgio, la lunga telefonata relativa alla tua mostra aveva l'inevitabile spontaneità dell'istante, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Per me è importante l'immediatezza perché si aggrappa ed è sostenuta dall'intuizione, però la mediazione della scrittura è più rassicurante, il testo può essere letto, riletto e modificato fin tanto ché sembra poter andare. Nonostante ciò, come sai bene, preferisco il rischio della parola detta, per ciò che riguarda l'arte ... fatta eccezione per alcuni testi che ho scritto per i miei amici artisti, che sono pochi, e per i miei amici artisti-matti, che sono tanti.
Ti mando però molto volentieri queste note, soddisfacendo così la tua richiesta di mettere per iscritto ciò che penso della tua mostra.
Di ciò che ho visto alla tua personale serbo il ricordo di una sensazione forte, coinvolgente, scattata durante la proiezione delle otto animazioni digitali a 3D. Mi sono trovato d'improvviso spiazzato nelle mie certezze, nelle modalità di giudizio sull'arte che di solito sono sostenute dalla necessità di essere scosso, turbato da ciò che vedo; le mie convinzioni sono state sospese, neutralizzate ... 
La mia percezione è abituata da tempo ad esigere opere che dichiarino subito un autentico tormento esistenziale; per me si tratta di accostarsi all'arte per stare prima male e poi bene, perché è il pensiero, a posteriori, che elabora e capisce, giustifica le malefatte estetiche. Certo, ci vuole una particolare sintonia con gli artisti delle “brutte arti”, quelli che sfaldano la monoliticità dell'arte e i pregiudizi culturali ... Sono dell'opinione che chi guarda l'arte contemporanea si trovi, in un certo senso, chiamato a “curarla” con la propria riflessione, per poter poi capirne qualche cosa.
Queste mie considerazioni pregiudiziali sono però scomparse durante la visione assorbente, quasi ipnotizzante, dei tuoi straordinari Labiritmi: la retina pervasa ed eccitata dall'incalzare, dal fluire sorprendente di immagini, che però non mi hanno bloccato il cogitare, anzi, alla terza proiezione mi è venuta voglia di parlarti, di dirti subito che stavo vedendo opere sicuramente neorinascimentali.
Ero indotto dal mio sguardo-pensiero a rilevare analogie certe con l'entusiastica ricerca prospettica, con la sua giustezza rappresentativa scaturita dal trionfo della razionalità: ti pensavo come un novello Paolo Uccello che il Vasari afferma essere uno dei “fondatori dell'arte rinascimentale” con la “sua mania prospettica, per cui vegliando le notti a tracciar complicatissimi disegni di poliedri, rispondeva alla moglie che lo chiamava a dormire: “O che dolce cosa è questa prospettiva!”. Egli era esaltato dalla grande gioia, del tutto solare, che tutto slatentizza rendendo le immagini schiette, imperturbabili e perturbanti nella loro commensurabile apparenza retinica e nel diniego di ogni cupa rimembranza medievale, sembrando anticipare addirittura Cubismo e Surrealismo... e, ancora, ti pensavo intento ad “aggiornare” la luce matematica di Piero della Francesca ... lo spazio plastico del Masaccio, ecc. ...
Ti ho visto, caro Piergiorgio, fortemente collegato alla bottega rinascimentale, anche se c'è grande solitudine nel tuo decennio di ricerca dato che la tua bottega-cantiere è il computer con le sue esigenze “segreganti”, che non hanno però smorzato la tua modalità di elettrizzante e spasmodica voglia di sperimentare. Credo che la tua “forma mentis” ti imponga l'approccio rinascimentale, dove le problematiche esistenziali e sociali venivano risolte dall'artista con canoni matematici e con geometrie, senza che il risultato diventasse freddo calcolo, ma addirittura prassi per capire che la psiche ha la sua forma, e che anche lo “spirito” può essere misurato, rappresentato con strutture appropriate, non aleatorie, ma frutto dei benedetti numeri che tutto sostengono.
Paolo Uccello, quello degli effetti di specchiatura nelle “Battaglie”, ti è contemporaneo, pensavo, e nel proseguo della visione delle tue animazioni è aumentata questa convinzione. Certo i tuoi sono flussi astratti di complesse intersezioni di linee, superfici, solidi di insospettata complessità strutturale che in costante mutazione assolvono perfettamente al compito di presentarci l'espansione della virtualità. Tu riesci a domare anche gli sguardi più distratti con le mille e una tessitura di linee che percorrono inebrianti viaggi nella bidimensionalità, fin tanto chè , così solleticata, agitata, esplode atomicamente per subito coagularsi in infinite soluzioni stroboscobiche. Tutto è così coinvolgente che si vorrebbe che la serie di film non finisse più, e c'è quasi una sensazione di fastidio quando la proiezione cessa, la luce si riaccende in sala e la realtà si palesa con le “solite facce”. 
Che strano tornare con lo sguardo all'ordinario dopo essere stati immersi, con un'ottica di precisione, nella “fucina degli angeli”! Ma “l'angelo somiglia a tutto ciò da cui io sono costretto a separarmi ... nelle cose che non ho più, egli alberga”, così scrive Walter Benjamin dell'angelo, e ciò si può dire dei tuoi film nel momento in cui cessano di essere proiettati. Mi manca quel flusso incalzante di accadimenti cinetici, il ritmo calibrato che oscilla fra la saturazione della percezione e la bellezza dell'affollamento di forme che, all'apice della condensazione, trovano sempre nuovi sviluppi di avvolgente impatto formale.
Solo un uomo del Rinascimento, quale tu sei, può trovare soluzioni al limite del tutto nero o del tutto bianco, cioè del nulla, attraverso calcoli oltre i quali c'è la confusione, l'informe non voluto ... cioè il brutto. La tua grande professionalità nell'usare uno strumento così “tarato” qual'è il computer è intrisa di artisticità derivata da decenni di studi amanuensi (come Danilo Balestro ben spiega nel testo introduttivo della mostra), depositati su centinaia di fogli che raccolgono percorsi esplorativi di remoti gangli strutturali, dove la bellezza della scoperta è pari alla potente bellezza del disegno (Enzo Ferrari diceva che le sue macchine andavano forte perchè erano belle).
Le tue animazioni neorinascimentali fanno da contraltare ad espressioni neomedioevali che appaiono con evidenza in alcuni lavori di artisti nostri conterranei.
Penso alla sinistra potenza, al cupo scricchiolio, alla rumorosa dinamica, alla pesantezza percepita “instabile”, perciò preoccupante, delle opere di Arcangelo Sassolino, le quali pongono lo spettatore in uno stato ansioso, quasi di panico sensoriale, per ciò che può accadere al loro cospetto; l'imponenza delle opere di Arcangelo ci fanno sentire piccoli ed inermi come dovevano sentirsi i devoti davanti al Cristo pantocratore nelle Cattedrali gotiche. 
E ancora, penso ai neri risvolti sociali di un passato che non passa, e le latenti angosce che innescano le opere di Giovanni Morbin, specialmente quando adopera l'icona del male assoluto, la quale, conservando integralmente il suo tremendo significato, annulla i tentativi d'utilizzo “altro” rendendoli banali se non insensati.
Appartengono al regno dell'ombra, del nero, le grandi superfici fotosensibili di Fabio Sandri, il quale lascia che la luce lentamente svanisca, rappresa chimicamente in superfici che nel loro rilevare tutto, al fine tutto negano; la carta fotosensibile quale grande apparato digerente ... Egli delega all'assenza il senso estetico di ciò che rimane del giorno; strane geometrie e impronte di ordinaria quotidianità, non più visibile perchè ormai vissuta, transitata, rendono orbo il fruitore ... la vita che senza morire trapassa nell'ombra e lì rimane.
Aggiungo il caso di Danilo Balestro, con i suoi solitari contatti speciali con vegetali e minerali di un territorio per lui magico, Montemezzo, dove taumaturgicamente attua comportamenti sciamanici per entrare in contatto con la “madre terra”; percorso originale, lungo e difficile, che prevede capovolgimenti di senso e di fatto.
C'è poi Giorgio Spiller, impenitente spirito sarcastico, in perenne transumanza dal monte al mare, il quale da tempo costruisce stupendi strumenti bronzei, pregni di sapienza artigianale e folgorante bellezza artistica, che all'occorrenza “adopera” per carpire e dare energia con performance che presumo derivino direttamente dalla conoscenza dei riti aztechi; in Franciacorta c'è la sua lunga scultura percorribile, accogliente trincea difensiva e grande vagina collinare, sua inevitabile tomba ...
Questi, caro Piergiorgio, sono alcuni esempi di artisti che, per semplificare, definirei moderni medievalisti, i quali giustamente scoprono le crepe e i crolli del pensiero odierno, e lì s'infilano per accentuare i cupi tonfi della ragione che cede ..., mentre tu, pur facendo i conti con Kafka e i paradossi visivi di Magritte, ti sei rannicchiato e protetto in un'area mentale scientista, ed eccitato dalla tecnica ne cogli le invenzioni con spirito pragmatico e ne fai affiorare, come si vede nelle tue “animazioni”, il candore incolpevole dell'illusione virtuale. Non fuga dalla realtà ma realtà della “fuga” in senso bachiano ... , tratti ciò che appare con filosofica rassicurazione: l'apparenza illustra solo se stessa, lasciando ad altri psicologismi e tremori catartici.
Come un novello Paolo Uccello affronti la battaglia dell'immagine nel suo intrinseco significato ... di forma ben risolta, perchè anche la superficie, ancora oggi, è un campo di battaglia e l'artista è anche colui che continua a mettere in scena chiaramente la distanza fra reale e virtuale, distanza sottolineata da un efficacissimo illusionismo retinico che tu esplori con risultati di salutare ipnosi, facendo ritornare la vista regina dei sensi.
Se gli artisti neomedioevali s'attardano nel loro compito, più o meno cosciente, di inverare la cosiddetta “morte dell'arte”, tu neorinascimentale, anche nel bel mezzo della battaglia fra vita e morte (dell'arte), continui la tua ricerca, dato che a chiudersi in FINE sono gli occhi ... quelli di Pavese, per intenderci, di: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi ...”.
Sono certo, caro Piergiorgio, che quando arriverà anche per te la “morte dell'arte” sicuramente tu la distrarrai per un bel po' mostrandole i tuoi ipnotici Labiritmi.

Novembre 2008

Giorgio Fabbris

Contributi

Mostra Labiritmi 2008

CONTRIBUTI

Danilo Balestro, oltre che autore del saggio "Geometria bianca" e presentatore, mi ha assistito con scrupolosi consigli in tutte le fasi progettuali della mostra. 
Andrea Potami mi ha incoraggiato a creare le musiche, mi ha fornito le chiavi per entrare nel territorio compositivo e le giuste informazioni tecnologiche per utilizzarle.
Toni Urbani mi ha dato l'assistenza tecnica teorica e pratica nella soluzione dei problemi relativi all'allestimento. 
Simone Picco mi ha prontamente aiutato nell'allestimento pratico della mostra. 
Infine Ines Gritti mi ha assistito in tutti i sensi ma soprattutto nel campo elettronico audio-video

Anteprima parete

Progetto

Immagini e film esposti

Trovi immagini e film esposti nella sezione VIRTUALI

 

Serata inaugurazione - Foto Nicola Santopadre

 

 

 

 

 

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