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PRESENTAZIONE DI GIORGIO FABBRIS

PRESENTAZIONE DI GIORGIO FABBRIS Piergiorgio Cremasco è da tempo ammaliato ed in parte succube della grazia fredda della topologia. All’inizio, come spesso accade, è stato un incontro che sembrava destinato a consumarsi nel solito ambito della casualità, della novità. In seguito, però, la cosa si è fatta seria ed il sentimento da generico si è trasformato in profonda attrazione per le figure fondamentali della topologia, le quali sono diventate oggetto d’affezione prima e di sfrenato desiderio poi. Fino a costituirsi quali veicoli per la sua esperienza creativa che sempre più si legava col nastro di Möbius, penetrando la sfera, sconvolgendo e sconvolgendosi col toro (ciambella), per appagarsi alla fine in deliziose convessità nell’otre di Klein. Centinaia di studi costituiscono uno straordinario itinerario di visualizzazione di quell’approccio che egli deve ritualmente fare per svelare la forma, per presentarla sul piano, tutto mentale, del foglio e dello spazio reale, dove è sovrana la cosità che concede senso solo alla plasticità della forma. Itinerari grafici per cercare di svelare la forma della forma, per presentarla sul piano, sullo spazio complementare, priva di segreti, sfinita dal possesso dell’artista, dopo averla fatta danzare, piroettare e poi bloccata, messa in posa per rilevarne la bellezza intrinseca. Lo svelamento è di una bellezza problematica perchè non sempre godibile dall’osservazione del prodotto finale (l’oggetto). Anche se forme topologiche plasticamente compiute racchiudono una timida sensualità o oltraggiose spregiudicatezze antropomorfiche, è soprattutto negli studi, nei disegni, quasi itinerari coreografici, che Cremasco scuote le forme e le perlustra cavandone armonie insospettate attraverso infinite torsioni che finiscono col mostrare eccitanti flessuosità nella forma che assume nuove spericolate sembianze. I suoi studi topologici mi ricordano, visti nell’insieme, la ridondanza dei templi indiani dell’amore dove candidamente i corpi si espandono e si contraggono per accoppiamenti più o meno simbolici distanti da ogni volgarità. Tale congiunzione ricompone ciò che Platone raccontava essere inesorabilmente separato in dolorosa privazione: il maschile e il femminile. Dualità simbolica costretta a deliranti percorsi per una unicità mai più archetipica. Ma Cremasco è un artista contemporaneo e non si illude sulle scorciatoie borghesi, sull’idillio perfetto di due figure plastiche come ingenuamente le presenta Brancusi con il suo “Bacio” e ancora prima quello impossibile e più straziante di Rodin. Per vie totalmente inconscie, come del resto fece Duchamp per il suo Grande Vetro, egli prende atto del fallimento dell’unione plastica fra due forme e conseguentemente fa un emblematico elogio alla solitudine della forma, all’onanismo topologico quale rivoluzionaria possibilità che la forma seduca se stessa, attraverso quel narcisismo virtuosistico dell’autoesplorazione. Le sculture platoniche di Cremasco sono così un esempio slatentizzato di autocompiacimento, di isolamento attivo desiderante. Le forme, nella loro logica contorsione di momentanea beatitudine solistica, arrivano al rifiuto dell’altro, al laborioso e intricato mondo della bellezza assoluta... sono il sesso degli angeli? Certamente si situano in una zona metafisica dove regna la duchampiana bellezza dell’indifferenza. È riuscito a placare la paranoica bramosia dell’“Amour fou” bretoniano non castigandone la libido surrealistica, ma cercando di recuperare in ogni figura da lui studiata quel momento topologico che la rende completa, certo illusoriamente completa, perchè la nostra retina sarà la sponda dialettica dove troverà pace. In pieno esibizionismo, spia d’insicurezza, e mentre le sane inibizioni lasciano il posto a volgari spettacolini dell’intimo che dai media passano al quotidiano rendendo la vita sempre meno poetica, Cremasco si difende surriscaldando la topologia, costruendo icone ansiose, preservando così la sua sfera d’intimità. Egli è uno Stradivari, la topologia è la preziosa custodia.

Giorgio Fabbris

 

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Bitromba, una sculturina in creta eseguita negli anni '90 (proprietà Toni Urbani) e sorella di trombaKlein ad un'unica bocca.

Scultura quadricoxa, genere fantaerotico, creta, fine '80, 10cm. Proprietà Valentina Carminati.

 

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